Newsletter n° 6 – Giugno 2018


Situazione del personale maschile e femminile: rapporto biennale al 30 giugno 

Sul sito web istituzionale del Ministero del lavoro, sezione normativa, è stato pubblicato il decreto del 3 maggio 2018, recante le indicazioni per la redazione del rapporto sulla situazione del personale maschile e femminile delle aziende pubbliche e private che occupano oltre cento dipendenti.
La scadenza per l’invio del rapporto è differita al 30 giugno 2018.

Il decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale del 17 luglio 1996, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 26 luglio 1996, n. 174, è abrogato.

Dal Garante Privacy ok al Gps con riserva

Il Garante per la protezione dei dati personali, nella newsletter n. 441 del 29 maggio 2018, ha evidenziato la possibilità del trattamento di dati personali mediante un sistema di localizzazione geografica dei dispositivi aziendali.
In particolare, è stato dato il via libera alla geolocalizzazione, attraverso smartphone e tablet, del personale di una società che effettua servizi di vigilanza privata e trasporto valori, ma sono state prescritte misure a tutela della riservatezza dei lavoratori: i dati di geolocalizzazione raccolti, le coordinate del dispositivo e la velocità del veicolo saranno conservati per un periodo non superiore alle 24 ore, fatte salve speciali esigenze, e il trattamento dati dovrà cessare al termine dell’attività lavorativa con la riconsegna a fine servizio dei dispositivi da parte dei dipendenti. Le guardie dovranno attivare l’applicazione mediante codice identificativo e password fornita dalla centrale operativa.
Le guardie giurate non saranno direttamente identificate dal sistema e l’accesso in tempo reale ai dati di localizzazione effettuato dal personale autorizzato della centrale operativa sarà previsto solo in caso di necessità ed emergenza.

Dall’Anpal l’utility per la verifica del requisito di “lavoratore svantaggiato”

L’ANPAL comunica che, dall’8 giugno 2018, è attiva, nella sezione ad accesso riservato, la nuova funzionalità “Incentivabilità” che permette di verificare se una lavoratrice o un lavoratore risulti “svantaggiato” e se, quindi, all’azienda possano essere riconosciuti gli incentivi all’assunzione.
La funzionalità di Anpal restituisce le informazioni relative all’incentivabilità della persona verificando la presenza o meno di comunicazioni obbligatorie e non tiene conto di eventuali peridi di lavoro autonomo svolti. Il servizio è a disposizione dei centri per l’impiego, degli operatori iscritti all’albo informatico delle agenzie per il lavoro, dei soggetti iscritti all’albo nazionale dei soggetti accreditati ai servizi per il lavoro e dei cittadini stessi.
Sono incentivabili le assunzioni di persone che, nei 6 mesi antecedenti alla data in cui si effettua la richiesta, non hanno avuto rapporti di lavoro subordinato o che hanno avuto rapporti di lavoro conclusi e di durata non superiore a sei mesi (i periodi di lavoro intermittente, tirocinio e LSU non rientrano nel conteggio); oppure che hanno svolto attività di lavoro autonomo o parasubordinato da cui derivi un reddito inferiore al reddito annuale minimo escluso da imposizione.

Definita l’operatività dell’Accordo di Ricollocazione

Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e l’ANPAL hanno emanato la circolare congiunta n. 11 del 7 giugno 2018, con la quale vengono forniti i criteri e le modalità di accesso all’accordo di ricollocazione da parte di lavoratori rientranti in ambiti aziendali e profili professionali a rischio di esubero, in attuazione della misura contenuta all’art. 24-bis del Decreto legislativo n. 148 del 2015.

INL: indicazioni sui controlli in presenza di contratti certificati

L’esecuzione di controlli da parte degli Ispettori del lavoro può portare alla sospensione o all’impugnazione della certificazione del contratto dell’azienda ispezionata.
Con la circolare 9 del 1° giugno l’Ispettorato nazionale del lavoro indica al personale come comportarsi nel caso in cui, nel corso di un’ispezione presso un’azienda, vengano a conoscenza dell’esistenza di una certificazione del contratto o che la procedura per la stessa è già stata avviata o lo sarà (articolo 75 del Dlgs 276/2003).
Se l’ispezione viene effettuata nei confronti di un soggetto che ha già una certificazione, e i controlli mettono in luce «vizi riconducibili all’erronea qualificazione del contratto ovvero alla difformità tra il programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione», il verbale conclusivo deve indicare che il disconoscimento della certificazione del contratto di lavoro o di appalto è efficace a seguito del tentativo di conciliazione obbligatorio presso la commissione certificazione e, se questo non ha successo, dopo l’impugnazione presso il giudice.

Dal 1 luglio 2018, stop alle retribuzioni in contanti

Conto alla rovescia per lo stop al pagamento in contanti della retribuzione. Entrando nel dettaglio, secondo le disposizioni dei commi 910-914, dell’articolo 1, della legge 205/2017, a far data dal 1° luglio 2018 i datori di lavoro o committenti dovranno corrispondere ai lavoratori la retribuzione, nonché ogni anticipo di essa, attraverso una banca o un ufficio postale con uno dei seguenti mezzi: bonifico sul conto identificato dal codice Iban indicato dal lavoratore; strumenti di pagamento elettronico (dovrebbe trattarsi di tutte le forme che utilizzano sistemi informatici); emissione di un assegno consegnato direttamente al lavoratore o, in caso di suo comprovato impedimento, a un suo delegato.
In base alla legge citata, l’impedimento s’intende comprovato quando il delegato a ricevere il pagamento è il coniuge, il convivente o un familiare, in linea retta o collaterale, del lavoratore, purché di età non inferiore a 16 anni.
La corresponsione dello stipendio in contanti rimane possibile ma soltanto se il pagamento avviene presso lo sportello bancario o postale dove il datore di lavoro abbia aperto un conto corrente di tesoreria con mandato di pagamento.
Sulla materia è anche intervenuto – con la circolare 2/2018 – l’Ispettorato nazionale del lavoro per dare notizia del nuovo obbligo al personale ispettivo.
Entrando più nel dettaglio, si tratta di un divieto che – mirando a reprime comportamenti elusivi – prescinde dall’ammontare della retribuzione corrisposta; infatti, non è stata prevista una soglia minima retributiva oltre la quale ha effetto il divieto né la possibilità di frazionare la retribuzione in pagamenti in contanti infra-mensili.
Stante il tenore letterale della norma, laddove viene fatto esplicito riferimento al termine “retribuzione”, sembrerebbero, invece, rimanere esclusi i compensi derivanti da borse di studio, tirocini, rapporti autonomi di natura occasionale. Sul punto sarebbe comunque auspicabile un chiarimento ministeriale, così come sulla possibilità di continuare a corrispondere in contanti eventuali anticipi di cassa, ad esempio, per sostenere le spese inerenti l’attività lavorativa: si tratta di una prassi abbastanza frequente soprattutto nelle piccole aziende. Parrebbe che questi ultimi restino ammessi, non costituendo parte di retribuzione ed essendo supportati da documentazione idonea e pezze giustificative.
Si ricorda come sia, in ogni caso, vigente il divieto al trasferimento di denaro contante qualora sia di importo pari o superiore a 3.000 euro.
Diversamente, dal prossimo 1° luglio, i datori di lavoro o committenti non possono corrispondere la retribuzione per mezzo di denaro contante direttamente al lavoratore, qualunque sia la tipologia del rapporto di lavoro instaurato. In merito a quest’ultima definizione, il legislatore ha precisato come per tale si intende ogni rapporto di lavoro subordinato, di cui all’articolo 2094 del Codice civile, indipendentemente dalle modalità di svolgimento della prestazione e dalla durata del rapporto.
Rientrano tra i rapporti oggetto dello stop al contante anche quelli originati da contratti di collaborazione coordinata e continuativa e dai contratti di lavoro instaurati in qualsiasi forma dalle cooperative con i propri soci, ai sensi della legge 142/2001.
Restano esclusi dall’obbligo descritto i rapporti di lavoro instaurati con le pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 165/2001; quelli di lavoro domestico, nonché quelli comunque rientranti nell’ambito di applicazione dei contratti collettivi nazionali per gli addetti a servizi familiari e domestici, stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale.
Nei confronti del datore di lavoro o committente che viola l’obbligo in questione scatta la sanzione pecuniaria amministrativa consistente nel pagamento di una somma da 1.000 euro a 5.000 euro, che si aggiunge ad eventuali condotte penalmente rilevanti.
Infine, da notare come la norma precisi espressamente che la firma apposta dal lavoratore sulla busta paga non costituisce prova dell’avvenuto pagamento della retribuzione.

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